“Solitaria, povera, brutale, breve”. Con queste parole Thomas Hobbes descriveva la vita degli individui all’indomani della pace di Vestfalia, il trattato che aveva sancito la fine di una delle più cruente guerre della storia europea. Egli, nel “Leviatano”, propose la soluzione: lo Stato, una macchina forte, solidissima che avrebbe portato ordine nelle vite di ognuno. Dopo il crollo consecutivo dell’auctoritas romana prima ed ecclesiastica poi, toccava alla scienza e alla ragione l’onere e l’onore di governare gli uomini. L’illuminismo ed in seguito il positivismo avrebbero dato all’uomo grandi speranze e importanti promesse, o narrazioni, come le definisce Lyotard, di antropocentrismo e di rivalsa per mezzo del sudore della fronte. Il cambio sarebbe bastata la fede e la dedizione per lo Stato. Tutto ciò, in concomitanza con i fenomeni di industrializzazione e urbanizzazione, avrebbe dato vita alle masse, irrazionali (Le Bon / Ortega y Gasset), tumultuose, assolutamente pericolose. Lo Stato e la società avrebbe risposto aumentandone il controllo sempre di più,fino a giungere al totalitarismo, ennesima e ultima Grande Narrazione. Al termine della seconda guerra mondiale, si conclude quel fenomeno storico discreto conosciuto come Modernità, perlomeno nell’ambito dell’opulenta ed evoluta società occidentale (Bauman / Bordoni). Stando alle teorie di Bauman a questo periodo seguirà un rapido e inesorabile processo di “liquefazione”, ovvero distruzione di tutte quelle strutture sociali che fino ad allora avevano costituito una base Solida. In realtà, come ci spiegheranno sia Bauman che Bordoni, questo periodo di “transizione” sarebbe iniziato già con il marxismo e si sarebbe definito con le rivoluzioni giovanili del ’68. La globalizzazione e la pervasività di internet avvrrebbero accelerato in maniera esponenziale il processo, traghettando la società da uno stato di profonde incertezze ad uno di totale anomia. Quest’ultimo verrebbe definito come un “interregno” in cui l’assenza di norme sociali darebbe vita ad un “caos” e ad un individualismo generalizzato. Insomma, un lento ed inesorabile ritorno alla condizione sociale descritta da Hobbes.  

Gli stati nazionali, un tempo fulcri del potere politico e sociale, si trovano oggi in una posizione ambigua. Sebbene abbiano perso parte del loro potere politico, mantengono un’influenza significativa attraverso la manipolazione mediatica e il controllo economico votato ad una sempre crescente diseguaglianza. Questa situazione pone in evidenza la complessità del potere nel mondo moderno, dove le tradizionali forme di autorità si intrecciano con nuovi canali di influenza e controllo.

L’instaurazione di nuovi poteri solidi è fuori discussione, giacché andrebbero liquefatti instantaneamente, a meno di ricorrere a misure estreme che riuscirebbero soltanto ritardarne la fine.

Quale soluzione, dunque, potrebbe mettere fine a questo stato di anomia diffusa?

In risposta a questa realtà mutevole, l’idea di uno stato dalla “solidità a bolle” o “stato-gel”, potrebbe riportare ordine, adattandosi dinamicamente alle forme cangianti della società. Questo nuovo modello di governo prevederebbe la flessibilità e l’adattabilità, piuttosto che la rigidità delle strutture tradizionali. Uno stato “a bolle” sarebbe in grado di modulare il suo approccio e le sue politiche in base alle esigenze e ai cambiamenti della società, relativamente ai vari sottosistemi sociali, mantenendo al contempo una struttura solida e funzionale laddove si ritenga necessario.

La sfida per il futuro sarà quindi quella di navigare in questo panorama complesso, bilanciando le vecchie forme di potere con le nuove dinamiche sociali, economiche e politiche. La demassificazione e la liquefazione del potere sociale non sono fenomeni da temere, ma piuttosto opportunità per sviluppare nuove forme di governance più adatte alle realtà del XXI secolo.

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